«Il carcere recupera, se il territorio è attento e si mettono in gioco imprenditori coraggiosi»

  26 NOVEMBRE 2016
Si è tenuto giovedì pomeriggio il convegno dedicato al lavoro carcerario, visto anche come occasione per il reinserimento nella società in seguito alla detenzione; questo appuntamento è stato organizzato in collaborazione con le Acli e la Associazione la Fraternità.

Guarda qui sotto la registrazione intervale dell’incontro

L’Assessore ai servizi sociali, Famiglia e Pari Opportunità del Comune di Verona, Anna Leso ha portato il proprio saluto, riconoscendo il tema del lavoro carcerario importante: «L’amministrazione ne fa buon uso per il reinserimento sociale. Deve essere una risorsa, un’occasione per imparare a pensare a una nuova vita».

Margherita Forestan, Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona ha aggiunto: «Il senso del carcere è l’articolo 27, che dovrebbe essere impresso in ogni sezione del carcere, a ricordare a tutti noi perché siamo lì e cosa dobbiamo fare: la rieducazione».

Hanno poi portato il proprio saluto Maria Grazia Bregoli, direttore della Casa Circondariale di Verona e Federico Lugoboni, presidente della Camera Penale Veronese.

Italo Sandrini, presidente dell’Acli di Verona, ha poi introdotto la prima sessione del convegno in cui si è discusso dell’art.27 della Costituzione, in cui si parla della finalità educativa della pena.

Sul tema è intervenuto Emilio Santoro, ordinario di Filosofia e Sociologia del diritto all’Università di Firenze: «La Corte costituzionale ha lavorato nei decenni passati – ed è un salto culturale – per passare dal concetto di rieducazione al reinserimento sociale. Con l’idea dell’offerta per compensare i deficit culturali e sociali. Il detenuto non ha salario né retribuzione, ma “mercede” allineata al contratto collettivo del 1990. Sono state avanzate due interessanti proposte al recente tavolo degli Stati Generali sul tema carcerario. La prima, suggerisce che se l’amministrazione penitenziaria non è in grado di retribuire le persone, sconti la pena in cambio del lavoro svolto. La seconda proposta coinvolge la cosiddetta legge Smuraglia, che prevede detrazioni e sgravi per chi fa lavorare un detenuto: non si contano le truffe messe in atto in questo ambito sulla pelle dei detenuti. Si potrebbe fare come nelle carceri catalane dove, per il lavoro interno, è stata creata dentro il carcere una sorta di agenzia di lavoro interinale, che coordina il lavoro dei detenuti e concentra su di sé gli sgravi».

Valentina Calderone, direttore dell’associazione “A Buon Diritto” ha affermato: «Ci sono responsabilità anche nel modo in cui si vuole continuare a spendere in questo campo. Un incremento di fondi ha fatto sì che in 14 carceri si siano potute realizzare officine in carcere. Prova positiva che qualcosa, questo Governo, ha fatto. Ma sembra un intervento schizofrenico, affiancato all’inasprimento delle pene, alla richiesta di nuovi reati, insieme però anche ad ottime novità come la messa alla prova. Prevede che chi deve andare a processo chieda di essere messo alla prova e, se il giudice accetta, questa persona segue un progetto specifico che permette di estinguere il reato senza passare dal Tribunale – prosegue Calderone – Impossibile pensare che ci si possa occupare di 53mila persone carcerate e che si possa pensare a dare lavoro a tutti questi. Iniziamo a togliere dal carcere i tossicodipendenti, i poveri, le persone con problemi mentali. Manteniamo in carcere solo chi ha effettivamente una pericolosità e si è macchiato di determinati reati».

Enrico Sbriglia, Dirigente Generale del Ministero della Giustizia, Provveditorato regionale per il Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige: «Oltre che essere luogo di rieducazione, parola impegnativa, il carcere dovrebbe essere luogo di recupero di risorse umane, sia sul piano materiale che morale. Si può realizzare soprattutto grazie all’attenzione che il territorio riesce a dedicare al mondo del carcere. Trovando imprenditori coraggiosi e disponibili a giocare una partita all’interno delle carceri, per dare lavoro alle persone detenute che hanno tutto l’interesse, tutta la capacità di dimostrare di essere meritevoli di una chance. Già succede in tante realtà. Il tema del lavoro nelle carceri vede tutti gli operatori interessati, a partire dalla Polizia penitenziaria, convinti che questa sia la strada più efficace per garantire una sicurezza permanente e duratura».

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